E’ sempre interessante scoprire come si è deciso di diventare Giornalista, un ruolo che, nel bene o nel male è da sempre protagonista dei e dai tempi .
Oggi conosciamo meglio Matteo Baudone e come quando e perchè ha scelto di “essere” un giornalista , perchè per noi non lo si diventa, certo puoi imparare a scrivere, ma qual quid che ti vuole sempre in giro a caccia di notizie, quello è nel DNA.
Quale è stato il tuo primo incontro con il giornalismo?
Ero un adolescente quando casualmente ho trovato un libro nella Biblioteca Pubblica di Pietrasanta scritto dal giornalista e scrittore Enzo Biagi.



Si intitolava “L’albero dai fiori bianchi”.
Ed era una sorta di sua autobiografia-riflessione sul passato.
È stata quella storia che mi ha fatto innamorare del mio lavoro.
Che è un mestiere di m**da, come viene raccontato da uno dei personaggi del libro di un altro grande giornalista, Massimo Gramellini.
Ma non riuscirei a farne a meno.
La voglia di conoscere non è mai a termine…
Che formazione hai avuto?
Io attualmente sono un semplice diplomato di liceo.
Che ha fatto degli studi universitari molto bislacchi, visto che ho fatto la cavolata di buttare nel cassonetto degli esami universitari portati a buon fine. Il resto lo ha fatto la pratica quotidiana pomeridiana nei lunghi inverni fortemarmini.
L’aver fatto pratica su uno spazio blog tutto mio mi ha dato disciplina.
Ogni giorno devi dare qualcosa ai tuoi lettori.
Perché da te lo esigono.
Non serve a nulla scrivere due righe quando ti va. Serve costanza e disciplina. Magari un giorno salti.

Ma poi devi farti perdonare la mancanza.
Successivamente ho approfittato di un corso a pagamento con l’allora direttore dell’Espresso Marco Damilano.
E con quello ho colmato delle lacune.
La formazione è molto importante.
Anche non diretta di giornalismo.
Oggi la formazione, a parte quella dell’Ordine dei Giornalisti, è basilare.
Ho fatto corso di fotoritocco, fotocomposizione, videomaking, patente del computer europea e tanti altri. Perché chi fa questo lavoro la deve sapere lunga. Sia nel fare che nel conoscere.

Più lunga di tutti gli altri. E poi libri, film, serie tv, ecc… Non c’è limite a quello che devi sapere.
E puoi riuscirci anche senza spendere molto, se sai organizzarti con i mezzi legali che si possono trovare gratuitamente…
Quando hai capito che ti saresti occupato di giornalismo?
Io mi definisco il “giornalista di casa”. Perché all’interno della mia famiglia io sono quello che sa all’incirca quello che succede.
Sono quello che legge i giornali, che sente il telegiornale, che indaga le novità.
Che sa muoversi sulla rete, cosa che oggigiorno non è così scontata.
Che si informa sui cambiamenti. È un po’ il mio ruolo.
Se proprio devo darti un punto di non ritorno, è stato quando ho capito che il mio sapere quello che succede diventava importante per il mio nucleo familiare.
Ho sempre avuto fiducia da parte di mia madre e di mio padre.
E questo è tanto. Perché non hai la pressione di chi ti vorrebbe con il posto fisso o altre situazioni.
Nella mia vita ho anche fatto altri lavori.

E “lavorare” credo sia un consiglio che darei a chi vuole fare questo lavoro.
Dopo Beppe Severgnini che ha detto di prendere una laurea, anche solo triennale, che non faccia sbadigliare, cioè che appassioni, io dico di mettersi a fare un lavoro. Anche il più semplice. Perché se capisci la vera fatica lavorativa, non penserai mai che quello che fai sia tutto. Fare il giornalista è sì una professione.
Con delle difficoltà. Ma conoscere anche altre professioni fa capire cosa significa lavorare veramente. Con un capo e con delle direttive da portare avanti.
Quali argomenti potendo scegliere preferisci trattare?
Non ho preferenze. Io credo che ci faccia il giornalista debba sapere il più possibile. Ammiro molto i giornalisti sportivi, perché hanno quella conoscenza che non ho.
Quella capacità di interpretare una competizione sportiva. Soprattutto non ho la loro esperienza su calciatori, sportivi, dinamiche. E poi tanto altro. Ma questo mi autoconferma. Questo lavoro è fatto prima di tutto di conoscenza. E più se ne ha, meglio è per la propria capacità di raccontare.
I giornalisti, se uno ci pensa, sono una sorta di eredi dei cantastorie che andavano di villaggio in villaggio a raccontare le loro storie.


Una figura questa che ricordo di aver letto con piacere nel “Mistero Buffo” di Dario Fo. Che è anche un libro. E più si è capaci di raccontare, più si può fare bene il proprio lavoro. Particolare questo che si lega bene ad un altro particolare: la preparazione. Chi fa questo lavoro deve essere preparato, il più possibile aderente al personaggio di “Guglielmo il dentone” del film “I Complessi”.
Da vedere. È su Youtube. Un personaggio preparatissimo, che pur con una bocca superdentata da paura diventa all’epoca il lettore del telegiornale della Rai. Sbaragliando tutti gli altri con la sua immensa conoscenza delle cose. Soprattutto delle lingue, che andrebbero studiate anche se non a livelli altissimi.
Un aneddoto che ricordi con il sorriso?
La mia prima intervista.
Ho avuto l’onore di intervistare Romano Battaglia.

Lui mi disse di si prima ancora che io glielo chiedessi.
Non so se dire che è stato una sorta di presagio oppure si è concesso come lo può aver fatto con altri giornalisti prima di me.
Mi piace pensare che può aver visto in me un degno collega a cui regalare la sua presenza per il mio lavoro. All’epoca per un piccolo giornale.
Quanto conta la comunicazione?
Dipende cosa si intende per comunicazione.
Se è la genericità del mondo, è molto importante perché il potere dell’informazione è gigantesco.
Bisogna avere delle basi per distinguere il vero dal falso, il buono dal cattivo.
Per questo studiare è fondamentale. Se hai accesso alle fonti di informazione, puoi orientarti meglio nella tua vita.
Se si parla della capacità umana di mettere in pratica, credo che chi voglia fare il mio lavoro, il nostro lavoro, deve in ogni momento saper avere a che fare con il proprio prossimo. Comunicare è la cosa più bella del mondo, ma bisogna rendersi conto che è anche una responsabilità. Faccio mia una frase di Lino Banfi: una parola è troppa e due sono poche.
Parlare tanto e saper stare zitto sono due facce della stessa medaglia.
Carta o web? Solo 10 anni fa sembrava che la carta dovesse sparire e invece…
Il mondo sempre più si sta digitalizzando. Internet permette di conoscere in spazi di manovra ridotti, visto che uno smartphone permette di indagare a proprio piacimento dalla propria tasca o dalla propria borsa. Fermo restando che il computer fisso non è cosi bypassabile.

La carta dall’altro lato è un ottimo supporto per tanti utilizzi.
Ma mettersi per lavoro ad aver a che fare con carta vuol dire che si ha spazio in cui gestirla. Quindi ognuno deve valutare come può muoversi.
E parlo sia dei giornali, dal quotidiano alla rivista, fino al libro.
Tutti supporti per cui esiste versione digitale.
E che possono convivere tranquillamente. A patto che si riscrivano le regole della loro produzione e commercializzazione. Stampare carta inquina.
Anche la corrente inquina.
E oggi l’inquinamento è una cosa che non si può prescindere.
Grazie Matteo per l”interessante chiacchierata