Grazie: uno dei primi vocaboli che dovrebbero essere insegnati ai bambini. Il «Come si dice?» di fanciullesca memoria, riecheggia ancora in me ogni volta che ricevo un regalo o che mi viene offerta una caramella, tanto mi fu ripetuto dai miei genitori. Bambina vessata?


Chissà…Certo è che osservando i comportamenti, non solo dei bambini purtroppo, pare che tale insegnamento sia caduto nel dimenticatoio. I concetti di riconoscenza e gratitudine, anche spicciola, sembrano scomparsi dal nostro vorticoso mondo.
Non c’è il tempo. Tutto deve essere veloce, diretto, finalizzato al perseguimento dell’obiettivo.
Capita così che al bancone del bar ci si dimentichi di ringraziare il cameriere che ci porge la tazzina di caffè perché troppo occupati a rispondere alle mail visualizzate sullo smartphone, oppure di ringraziare chi, uscendo prima di noi, ci tiene aperta la porta invece di lasciarcela andare sulla faccia (come spesso capita).
Certo, non possiamo sostenere una brillante conversazione telefonica e contemporaneamente accorgersi della cortesia di uno/a sconosciuto/a!
Non addentriamoci nell’ambito lavorativo poi, dove l’elevato livello di stress non gioca a favore del bon ton, e dove la competizione trasforma i ringraziamenti (sinceri) in merce assai rara.

Se una tale superficialità e indifferenza verso l’agire del prossimo la coltiviamo anche tra le mura domestiche, e con l’alibi che – si è in famiglia – evitiamo di ringraziare per il sale passato a tavola, per l’acqua versata nel bicchiere o per ogni seppur consueto atto, perderemo l’abitudine alle piccole attenzioni che possono fare una grande differenza. Significa assoggettarsi al principio che tutto è dovuto o scontato.
Ebbene così non è. Anche la gentilezza e la cortesia vanno meritati se non vogliamo un mondo nel quale dominano prevaricazione, arroganza ed indifferenza.

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