Artemisia Gentileschi era primogenita nonché figlia femmina di Orazio Gentileschi, famoso pittore del 1600, che ne notò subito il grandissimo talento e cercò di incoraggiarla fin da piccola insegnandole tutti i trucchi del mestiere.
I due ebbero un rapporto padre e figlia molto conflittuale vista anche l’intraprendenza e l’orgoglio della ragazza,anche sul piano artistico, tant’è che, a volte, diventò difficile stabilire a chi appartenesse un dipinto, poiché in certi momenti la loro maniera di creare era del tutto simile.
L’episodio più noto della vita di Artemisia Gentileschi fu quello della violenza subita all’età di 17 anni per mano di Agostino Tassi (1580-1644), pittore di buon livello, amico del padre della ragazza e suo collaboratore.
Agostino Tassi era un pittore indiscusso ma dalla condotta poco esemplare e con precedenti penali.
L’artista si era invaghito di Artemisia e, secondo quanto raccontò la stessa ragazza, il 9 maggio 1611 violentò la figlia dell’amico.
Lo stupro all’epoca era un reato, ma allo stesso tempo era considerato infamante per la donna che lo subiva. Il disonore poteva essere in parte riparato con un matrimonio.

Inizialmente Tassi promise ad Artemisia di sposarla ed ella credendo alle sue promesse iniziò una relazione di pochi mesi, fino a quando si scoprì che l’uomo era già sposato.
Tassi fu dunque denunciato da Orazio Gentileschi ed il processo durò da marzo a novembre 1612. Artemisia dovette subire atroci torture perché, purtroppo, la Giustizia riteneva che durante la tortura gli interrogati dovessero per forza dire la verità.
Tassi fu condannato e costretto all’esilio da Roma, ma, grazie all’appoggio di personaggi potenti, riuscì a rientrare.
In seguito Artemisia si sposò, costretta dal padre, con Pierantonio Stiattesi, un giovane pittore fiorentino di scarso livello con il quale si trasferì a Firenze.
Nel 1615 eseguì due dipinti per l’amico Michelangelo Buonarroti. Nel 1616 venne ammessa all’Accademia del disegno di Firenze, dove rimase iscritta fino al 1620, anno in cui lasciò Firenze e tornò a Roma dove dovette convivere con i pettegolezzi ma ormai era un’artista affermata.
Il marito, pittore appena mediocre, non tollerò più il suo successo e se ne andò.
Nel 1627 andò a vivere a Venezia e nel 1630 si trasferì a Napoli dove diventò una delle personalità artistiche più importanti della città eseguendo varie opere per la Cattedrale di Pozzuoli.

Nel 1636 si trasferisce a Londra per raggiungere il padre Orazio, per aiutarlo a terminare alcune opere per Re Carlo I e per restargli vicino fino al 1639 anno della sua morte. Tornò a Napoli e vi restò fino alla fine dei suoi giorni (tra il 1652 ed il 1656).
Subito dopo aver subito la violenza, Artemisia, si esprime in maniera brutale ma la sua espressione artistica di rabbia si stempera con il “periodo fiorentino” e diventa più elegante per arrivare a Venezia ed avvicinarsi all’influenza dei grandi Maestri come il Tintoretto e il Veronesi.
Analizziamo inanzi tutto l’autoritratto del 1615-17 nelle due versioni dai colori freddi e caldi per determinare la Tipologia Cromatica di Artemisia.
Nella versione dai colori caldi, il suo viso appare più luminoso, con un sottotono dorato insieme ad una leggera ramatura di capelli e sopracciglia; il blush sullo zigomo la fa apparire più sana; le sue forme generose risultano armoniche; l’ampia scollatura del vestito dal colore freddo allontana dal viso l’illusione ottica dissonante; il turbante ecru’ dalle decorazioni arancioni e dorate, in abbinamento ai suoi orecchini, le incorniciano il volto aiutando a definire nitidamente i contorni.

Nel ritratto dai colori freddi, l’incarnato è diafano; il blush rosato sullo zigomo mette in risalto le borse sotto gli occhi; la bocca è poco valorizzata apparendo meno carnosa; i capelli e le sopracciglia più scure; II contorni del viso sono poco definiti e le sue forme appaiono più prosperose; la prima cosa che salta all’occhio è il colore freddo dell’abito che distoglie l’attenzione dallo sguardo e dai lineamenti di Artemisia; il turbante e gli orecchini dalle tonalità chiare, calde e dorate diventano poco influenti nell’armonizzare le cromie.
Artemisia era senza dubbio una Donna AUTUNNO come traspare nell’autoritratto come martire del 1615 e nell’autoritratto in veste di pittura del 1638.
Quest’ultimo è uno dei miei preferiti perché Artemisia si ritrae in tre quarti, anziché frontalmente o di profilo e soprattutto in posa.
Lei decide di rompere la tradizione dipingendosi con i suoi strumenti di lavoro tra le mani mentre esegue un dipinto.
Per rappresentarsi in questa posa avrà dovuto ricorrere ad un gioco di specchi ed il risultato è molto realistico con l’artista con le maniche rimboccate fino al gomito; una catena d’oro con un ciondolo a forma di maschera; un abito verde e marrone; le sue labbra ed il blush aranciati; il tutto sottolinea la sua Tipologia Cromatica rendendola semplicemente meravigliosa!!!
