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Lorenzo Villoresi
Lorenzo Villoresi

Firenze, terra di speziali, uno dei maggiori produttori di iris, tre volte più preziosa dell’oro in profumeria, con una tradizione storica importante che risale a Caterina dei Medici. Rende onore a questo passato il Museo del profumo di Lorenzo Villoresi, che racconta la storia e le essenze, per un viaggio nel mondo senza confini dell’olfatto.

Questa realtà nasce nel giugno del 2019 dopo decenni di attività di profumeria artistica, nata dalla passione di questo naso fiorentino. Lorenzo è da sempre legato al mondo dei profumi, coltivando la sua passione per la natura, cresciuto sulle pendici di Montemorello vicino Firenze, sebbene cittadino del mondo grazie anche all’educazione familiare.

Dopo gli studi di filosofia, una passione per la filosofia antica, la folgorazione arriva in un viaggio al Cairo nel 1981.

Seguono lunghi soggiorni in Medio oriente e studi legati alle spezie e alle materie aromatiche finché la sua passione diventa una professione nel 1990.

E il successo è indiscutibile: nel 2006 vince il premio “Prix François Coty” di Parigi, il più importante riconoscimento alla carriera artistica di un profumiere e nel 2015 il premio “Flair de Parfum” a Vienna.

Il museo, ospitato in un antico palazzo nel cuore di Firenze, in Via de’ Bardi, vicino al Giardino Bardini, propone un percorso multisensoriale alla scoperta dell’universo del profumo, dell’odore e dell’aspetto delle principali materie aromatiche, della storia, dei miti e delle leggende che le accompagnano da secoli, oltre a notizie di carattere scientifico e tecnico e curiosità sulla produzione di essenze e la creazione di fragranze.

La nostra camminata procede su un doppio binario, quello informativo, anche tecnico-scientifico, storico da una parte e quello più emozionale, giocoso, lasciandoci avvolgere sì dalla storia ma quella ad esempio dei miti legati al profumo o agli animali che sono legati a questo mondo come la pantera che si racconta come l’animale più profumato al mondo, che attragga in modo diabolico ma suadente all’apparenza con il suo odore, la vittima. E ancora l’Araba fenice e molte altre figure.

La prima sala ospita il glossario introducendoci al linguaggio dell’olfatto; quindi nella seconda sala, mentre un video in italiano e in inglese ci guida dall’antico Egitto ad oggi nel rapporto che l’uomo ha avuto con il profumo, alcuni pannelli raccontano l’olfatto negli animali.

Sotto il profilo del livello percettivo si va dalla balena che è praticamente anosmica perché non ha necessità di selezionare, né l’opportunità di scegliere, nutrendosi di quello che trova e infatti non avendo fiuto rigetta quanto non le serve – è la famosa e preziosa ambra grigia del Capodoglio – fino all’orso che è al vertice della piramide, dovendosi orientare in un luogo con pericoli, molti odori diversi con vari ostacoli che possono essergli di impedimento.

Non a caso può arrivare a percepire gli odori fino a 25 chilometri di distanza. Dal punto di vista della distinzione degli odori il gradino più basso è sempre occupato sempre dalla balena, per salire all’uomo con 400 recettori e arrivare all’elefante che ne ha 1950 ed è capace di «sentire» anche l’acqua.

Nella terza sala, Aromatica I, inizia il viaggio tra le materie aromatiche, spezie, incensi, rizomi e arbusti e resine in versione liquida. Qui incontriamo il nardo, che significa «riccioluto», una delle materie più antiche impiegate in profumeria che si pensa sia stato scoperto da Alessandro Magno.

E poi ci sono gli agrumi con l’arancio amaro, la regina della categoria. Dai suoi fiori si ottiene infatti per distillazione l’olio essenziale di Neroli, dai frutti e dalle foglie e cime (frutti non maturi) olii essenziali molto diversi.

Dai frutti si può estrarre la materia per espressione, una lavorazione che avviene con una sorta di grattugia, come mostra un video. Il mondo delle resine ci riporta al Vecchio Testamento e al dono dei Re Magi, oro, incenso e mirra. In realtà l’oro era probabilmente benzoino, materia molto preziosa da essere associata a livello simbolico all’oro e l’incenso riunisce un mondo di spezie. La storia del profumo ci porta dall’oriente dell’India e della Cina, verso il Medio Oriente, al Mediterraneo e all’Europa attraverso la cosiddetta via delle spezie che anticamente si muoveva su due binari, la via di terra e quella per mare.

La quarta sala è il cuore del museo, l’Osmorama, con circa mille essenze, divise in tre sezioni, rispettivamente, gli ingredienti naturali, estratti da sostanze che si trovano in natura appunto; le sostanze di sintesi che riproducono in laboratorio quanto esistente in natura, sempre più raro e costoso; e una serie di essenze alimentari, come il riso basmati o il caramello che rappresentano un mondo in via di sperimentazione per renderle utilizzabili in profumeria.

Una sosta a sé merita l’Iris, fiore simbolo di Firenze, tre volte più prezioso dell’oro in qualità di ingrediente per il profumo: se ne utilizza il rizoma che necessita una coltivazione per tre anni per essere utilizzato; a quel punto la radice viene spellata a mano ed essiccata per altri tre anni, quindi distillata in corrente di vapore, dando quel caratteristico odore talcato.

Nel mondo delle radici troviamo ad esempio la noce moscata e il macis, la parte esterna della stessa e il vetiver, uno delle più utilizzate. Quanto al mondo delle piante aromatiche, questo ci riserva una sorpresa con i cosiddetti fiori impossibili ai quali non si può applicare l’estrazione oppure il risultato è molto diverso ed evidentemente non meritevole che sono il mughetto, il lillà. Il caprifoglio, il giacinto, la gardenia e il glicine, alcuni molto noti come profumo che evidentemente possono solo essere realizzati con essenze di sintesi.

Lorenzo Villoresi, Firenze

Non possiamo dimenticare nella quinta sala il capitolo dei legni come l’agarwood o semplicemente ‘oud, legno in arabo, molto impiegato nel mondo arabo; quindi quello affascinante e quasi inquietante delle essenze animali che, fatta eccezione per la cera d’api, sono secrezioni ghiandolari come l’ambra grigia; la civetta, proveniente da un gatto selvatico; il musk legato a un cerbiatto orientale e il castoreum dal castoro.

Ormai sono tutte sostanze di sintesi perché è praticamente impossibile ottenerle dall’animale vivo e anche uccidendolo spesso si invalida il processo di rilascio che avviene per attirare la femmina.

L’ultima sala è dedicata infine alla lavorazione da quella più antica l’enfleurage alla più utilizzata, la distillazione in corrente di vapore ed estrazione, questi ultimi i due metodi più importanti. Il primo metodo, descritto ne Il profumo da Patrick Suskind, avviene con l’immersione in grasso animale di petali di fiori che vengono più volte rinnovati fino ad ottenere una pommade da spalmare ed è una tecnica tipicamente francese. La distillazione avviene mettendo degli oli essenziali in una cisterna scaldata con una fonte di calore; segue un’evaporazione con un raffreddamento successivo che porta le particelle di olio a galleggiare sull’acqua per poter essere così separate ed utilizzate.

Prima di uscire dal museo si può dare uno sguardo alle famiglie di fragranze e scegliere quelle Villoresi sfogliando anche la storia e i prodotti che hanno reso famoso certe fragranze.

Tra le curiosità è l’assenza della famiglia ‘marina’, il tema delle acque in Villoresi perché non le ama ma ne ha creata una per il museo. L’ultima nota è per la creazione di un profumo, che assomiglia a quella di un’opera d’arte: non basta studiare, ci vuole un’inclinazione e una passione che ricorda quella del compositore musicale. Dalla visione olfattiva alla creazione il processo è complesso e termina con la confezione.

Per Villoresi è sempre lo stesso perché dev’essere riconoscibile, la «Bottiglia fiorentina» e per curiosità è bene sapere che tutto il mondo utilizza tale espressione. L’ultima creazione è una variazione del Garofano che appartiene alla Vintage Collection mentre altre fragranze stanno ampliando la loro gamma di prodotti per il corpo.

Sappiamo che il naso della Maison è all’opera ma il progetto è top secret.

G.L.

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