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Giacomo Mozzi
Giacomo Mozzi

E’ sempre una sorpresa leggere le risposte di un intervista rivolta ad un fotografo, mille aneddoti, ricordi, idee,

Conosciamo meglio Giacomo Mozzi lasciando sia lui a raccontarsi attraverso le sue risposte

Il tuo primo contatto con la fotografia ?

La prima volta che presi in mano una macchina fotografica, che io sappia, avevo circa 6 anni.

Era una macchina automatica a rullino, di quelle semplicissime, un solo pulsante, guardavi da un piccolo buco, inquadravi e scattavi.

Poi quando il rullino era finito, io pensavo di averla rotta, mio nonno andava a svilupparlo e prendeva un nuovo rullino così potevo tornare a fotografare.

Per mio nonno la prima macchina digitale fu una vera e propria rivoluzione, una schedina e basta rullini da sviluppare.

C’era un piccolo laboratorio vicino casa e nel giro di pochi anni chiuse, non si sviluppavano più tanti rullini.

A quei tempi fotografavo paesaggi, animali, persone in casa, diciamo che era come vedevo il mondo o il mio piccolo mondo, ma non lo sapevo ancora.

Quando hai capito che la fotografia sarebbe diventata da passione a professione?

Finito il liceo classico andai all’università, lì dopo un anno passai da una facoltà ad un’altra e avevo sei mesi come periodo transitorio, in questi tempo decisi di cercare un modo per migliorare quello che facevo per hobby o meglio uno dei tanti. In quel periodo dicevo che andavo a prendere “ un’ora d’aria” quando tornavo a Viareggio da Pisa con il treno, posavo i libri a casa, prendevo la bicicletta ed andavo al muraglione a fare una foto al tramonto, ai pescatori a quello che trovavo. Foto fatte sempre premendo un pulsante ed inquadrando quello che volevo ritrarre.

Pensai che potevo migliorare questo aspetto imparando ad usare anche gli altri pulsanti della macchina fotografica ( al tempo avevo una reflex base). Feci uno stage con Paolo Valli e mi insegnò ad usare quella macchina, con molta pazienza, perché sono si curioso, ma anche parecchio duro di comprendonio.

Dopo un anno lasciai l’università, aprì partita IVA ed iniziai la professione di fotografo. Non sapevo se ci sarei riuscito o no… e non lo so ancora, ma qualcosina in questi anni spero di aver fatto.

Il tuo primo scatto?

Il primo scatto è difficile da descrivere, perché molto probabilmente non me lo ricordo, ma posso dirti il primo scatto con una reflex non professionale e poi con una professionale.
Per andare a fare una missione umanitaria in Brasile mio nonno mi regalò una reflex non professionale e il giorno prima di partire ( era il 2007) andai nel solito posto dell’”ora d’aria” sul muraglione a Viareggio a fare delle foto.

Mi colpì subito una barca a vela che stava rientrando nel porto e catturai l’attimo. L’anno dopo Paolo Valli mi spiegò che avevo usato la regola dei terzi ( ovviamente a mia insaputa).

Con la reflex professionale, che comprai usando tutti i miei risparmi, andai sempre nello stesso posto dove avevano messo da poco delle statue di Libero Maggini raffiguranti dei bambini che giocavano o prendevano il sole. Feci una foto alla statua della bambina che faceva l’atto di passeggiare sugli scogli in controluce.

Ne scaturì un bell’effetto tanto che quella fotografia l’ho presentata spesso a delle mostre.

Che soggetti prediligi ritrarre?

Non ho dei veri e propri soggetti, penso di essere più un fotografo da reportage che altro, però mi so adattare. Non credo di avere ancora un filone che prediligo, faccio un po’ di tutto, ma diciamo che quando non fotografo per lavoro mi piace scoprire pezzi di città, scovare sguardi e vedere geometrie all’interno del rettangolo di scatto. Se posso permettermi “ un po’ come ai vecchi tempi”.

Un aneddoto che ricordi con il sorriso?

Eh, ce ne sono tanti, probabilmente il più divertente è stato quello della prima volta che mi intervistò Cinzia Donati.

Alla fine dell’intervista mi chiese una fotografia. Io giustamente le chiesi che soggetto o che ambientazione volesse. Lei rimase un secondo al telefono senza dire niente e poi mi specificò “ Giacomo una tua fotografia, di te!”

Lì realizzai che non avevo foto mie, ad esclusione delle fototessere che non sono bellissime da pubblicare su delle riviste, quindi mi feci un autoscatto allo specchio… riuscì talmente bene che per parecchio tempo mi chiesero chi mi aveva scattato quella fotografia. 

Se potessi incontrare un personaggio  del passato , chi e cosa gli chiederesti?

C’è l’imbarazzo della scelta, ma penso Marco Polo.

Un esploratore, un commerciante, uno scrittore, via un curioso che prendeva appunti e desiderava apprendere dalle altre culture.

Gli vorrei chiedere se mi avrebbe portato in questo viaggio in oriente.

Un libro che ho apprezzato e che è in grado di farti immaginare i luoghi e le persone che Marco Polo ha conosciuto durante il suo viaggio e che solo vivendo in quel momento potresti provare le stesse emozioni e lo stesso stupore che si prova quando si è bambini e si scopre qualcosa di meraviglioso per la prima volta.

Vorrei comunque incontrare dei sognatori che hanno fatto la storia, quelle persone che sono partite con un’idea e sono riuscite a realizzarla, per rimanere in tema viaggio potrei citare Cristoforo Colombo o Magellano, oppure Giulio Cesare e Cesare Augusto.

Non gli farei grandi domande, cosa strana per uno che è anche giornalista, ma vorrei capire cosa si prova ad intraprendere determinati viaggi ed affrontare determinate situazioni, ad andare verso luoghi inesplorati, o poco conosciuti, spinti dalla propria voglia di conoscenza.

Non nascondo che il personaggio di Ulisse mi ha sempre affascinato tanto da averci fatto la tesina della maturità classica.

Quanto conta la comunicazione ?

La comunicazione è tutto. Senza mezzi termini.

Se una fotografia non comunica qualcosa non ha raggiunto il suo scopo secondo me.

Bisogna dire che la comunicazione visiva, più di quella letteraria, può arrivare o meno allo spettatore anche perché le persone al giorno d’oggi sono bombardate da immagini, invece i lettori stanno diminuendo.

Con un’immagine bisogna riuscire a descrivere quello che succede, senza utilizzare le parole. La ricerca della descrizione all’interno delle fotografie non è semplice.

La cosa più semplice è quella di riuscire a comunicare tra immagini e scritte.

Ad esempio una persona che guarda un qualcosa che è scritto, come può essere un menù fa capire moltissimo di quella situazione. Risponde a molte delle famose 5 W del giornalismo ( Who, What, Where, When, Why – Chi?, Che Cosa?, Quando?, Dove?, Perché?)-

Su questa domanda vorrei anche descrivere un aneddoto.

Ero a New York, volevo scattare una fotografia che mi era venuta in mente, quella di un giornale che volava davanti alla sede del New York Times.

La situazione mi si era palesata in mente quando capì che lì c’era molto vento e quindi poteva essere normale che un giornale volasse lì davanti, quindi iniziai a costruirla, mi piazzai e tutto, ma mancava solo il giornale che volava perché giustamente quel giorno il vento non c’era.

Dopo un po’ di tempo che ero appostato passò un bus e fece volare il giornale dalle mani di Fabrizio Gatta che mi stava aiutando in questa follia, allora scattai ed ebbi la fotografia che mi ero immaginato. Il titolo fu “ La fine della carta stampata?” Su suggerimento di Lorenzo Bonini e Lodovico Gierut, i primi due critici che la videro e ci scrissero qualcosa in merito. La comunicazione qui è semplice, ma non scontata perché la domanda fa riflettere sul quando e se mai questa domanda avrà una risposta. Personalmente spero il più tardi possibile. 

Che differenza c’è, nella percezione dell’arte e della fotografia , tra Italia e estero?

In Italia siamo dei viziati dal punto di vista della ricchezza artistica.

Riusciamo a non emozionarci nel vedere opere di un livello di complessità inaudito sparse per tutta la penisola e le trattiamo come se fosse una cosa normale. In un certo senso ci siamo abituati al bello ed in molti casi non ci rendiamo conto che dobbiamo valorizzarlo e conservarlo.

Gli stranieri arrivano qui e vengono affetti dalla sindrome di Stendhal in alcuni casi proprio perché non sono abituati a tutta questa bellezza.

Penso che ad un italiano all’estero questa cosa succeda raramente.

Abbiamo una storia ed una percezione del bello che ci porta inevitabilmente a cercare di trasmetterlo, ma lo diamo per scontato.

Noi possiamo avvalerci di anni di storia, altre nazioni non sono così fortunate e sono spronate ad avere una continua evoluzione. In Italia l’arte contemporanea spesso non ha il rilievo che meriterebbe, come la sperimentazione di novità artistiche, questo vale in generale come per la fotografia.

All’estero le sperimentazioni, a parere mio, vengono apprezzate maggiormente, come tutto il mercato dell’arte sembra sia diverso, sembra che abbia sbocchi migliori ed aiuti gli artisti a sviluppare e a far emergere quelle novità che potrebbero far nascere nuove correnti in tutte le discipline artistiche.

Guardiamo spesso all’arte estera che “ sfonda” in Italia, ma raramente ci domandiamo se, con una maggiore considerazione di alcuni personaggi, quest’arte potrebbe essere già nel nostro paese e se solamente non siamo stati in grado di trovarla e valorizzarla.

Cos’è per te la fotografia?

Il raccontare la mia personale percezione del nostro tempo attraverso un rettangolo.

Penso sia la definizione migliore che possa dare.

Un racconto di luoghi, persone, creazioni, architetture, eventi che ho avuto modo di vedere, conoscere e ritrarre… talvolta di nascosto… ma che se messe insieme danno vita alla mia vita intrecciata con quella di altre persone con cui ho avuto la possibilità di fare questo percorso. 

Per proporre fotografia bisogna averle studiate?

Non necessariamente. Nel senso che ci sono le fotografie studiate a tavolino e quelle che invece ti vengono sul momento a seconda della situazione.

Tutte e due hanno lo stesso valore, anzi, mi correggo, forse quelle sul momento hanno un valore aggiunto, sempre, l’imprevisto.

Non essendo studiate non è possibile sapere se ci sarà lo scatto perfetto, o come potevamo averlo immaginato. Questo succede spesso, per non dire sempre, quando si fanno reportage.

Ci sono tantissimi fattori che influiscono su uno scatto fotografico e che spesso vengono ignorati o molto più semplicemente non vengono considerati come importanti.

Uno è sicuramente lo stato d’animo e la condizione del fotografo e dell’ambiente che lo circonda, il secondo, a meno che non si sia in uno studio completamente isolato, il fattore tempo atmosferico ed un’altro molto importante è il contesto nel quale ci andiamo a calare.
Ad esempio una volta intrapresi un progetto alquanto folle, andare in 24 luoghi simbolici della Toscana in 24 ore, lo chiamai Toscana H24, lo so non è molto fantasioso, per fare in ogni luogo una fotografia che lo rappresentasse. Per realizzare questo progetto avevo studiato l’itinerario con dei miei amici che mi accompagnarono, Valentina Musetti, Chiara Bianchi, Debora Lenti e Alessandro Laveneziana, ma non potevamo sapere cosa avremmo trovato.

Quindi arrivammo a Castiglioncello che stavano finendo un concerto e siamo rimasti imbottigliati nel traffico, non riuscì a fotografare torre Mozza perché era ancora troppo buio, ma arrivammo a Siena e riuscimmo a gustarci l’alba con una città deserta, gli unici rumori erano gli operai che stavano smontando le impalcature da piazza del Campo ( andai due giorni dopo il palio). In questo progetto la variante più grande che dovetti affrontare era il sole perché ovviamente nell’arco di 24 ore vedi tutti i possibili gradi di luminosità.

Cosa vuoi che arrivi attraverso i tuoi scatti?

Una visione del mondo. Il mondo sta cambiando velocemente e noi con lui.

Penso di essere, nel mio piccolo, un narratore di questo cambiamento attraverso testi ed immagini.

Se le immagini vengono viste oggi potrebbero narrare qualcosa, ma viste tra qualche anno potrebbero dare una percezione diversa.

Comunque la si voglia vedere e quando la si voglia vedere sarà sempre la mia visione del mondo calata all’interno del tempo che sto vivendo.

Posso girare la Terra, posso andare a vedere tantissimi luoghi o rimanere ancorato in una città, ma quello che scaturirà sarà sempre un’interpretazione di cui inevitabilmente chi ha in mano la macchina fotografica risulta l’interprete. 

Grazie Giacomo per la piacevolissima chiacchierata e il tempo a noi dedicato

Tags : fotografiaGiacomo Mozzi

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